Onorevoli Colleghi! - Già negli anni novanta si è sviluppata in Italia una notevole attenzione attorno ai problemi della corruzione e dell'etica pubblica.
      La credibilità delle istituzioni e della condotta dei suoi rappresentanti è condizione indispensabile della vita democratica e della fiducia dei cittadini in essi, anche per contrastare le tendenze dell'antipolitica che non giovano alle istituzioni e alla democrazia.
      L'etica pubblica, in relazione all'esercizio di cariche parlamentari e di governo, è valore fondante e imprescindibile per la coesione sociale e l'affidabilità democratica delle istituzioni, anche ai sensi dell'articolo 51 della Costituzione.
      Dalla sottovalutazione di questo principio consegue la necessità di introdurre norme di legge che disciplinino previsioni di incandidabilità e di incompatibilità con cariche di governo, a causa di condanne definitive per reati di particolare gravità e di grave conflitto di interessi.
      Una tale disciplina si rende peraltro costituzionalmente necessaria alla luce del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione che stabilisce, all'articolo 114,

 

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che «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».
      Occorre a riguardo rilevare che già sussistono nell'ordinamento giuridico norme che disciplinano cause di incandidabilità, di ineleggibilità e di incompatibilità, a seguito di condanne passate in giudicato, sia per quanto concerne i comuni e le province (capo II del titolo III del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) sia per quanto concerne l'elezione dei consiglieri regionali (articolo 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e successive modificazioni).
      Anche sotto il profilo costituzionale risulta dunque necessario equiparare la disciplina delle cause soggettive di incandidabilità e di incompatibilità, risultando irragionevole la mancata previsione di tali cause solo per l'accesso alle cariche elettive nel Parlamento nazionale e per quelle del Governo nazionale.
      I casi previsti nella presente proposta di legge sono pertanto analoghi a quelli già esistenti per cariche elettive e incarichi di governo di comuni, province e regioni e riguardano le condanne definitive per gravi reati dolosi.
      La disciplina che si propone lascia impregiudicata ogni causa di interdizione dai pubblici uffici, come sanzione accessoria a seguito di condanna passata in giudicato, e ogni altra causa di ineleggibilità già prevista in altre leggi.
      Essa costituisce normativa di attuazione dell'articolo 51 della Costituzione, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 15 maggio 2001, secondo cui l'istituto dell'incandidabilità, che priva in radice il soggetto dell'elettorato passivo, non è riconducibile all'istituto delle pene principali ed accessorie, ma riguarda il venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche considerate, stabilito, nell'esercizio della sua discrezionalità, dal legislatore, al quale l'articolo 51, primo comma, della Costituzione demanda appunto il compito di fissare i requisiti in base ai quali i cittadini possono accedere alle cariche elettive in condizione di eguaglianza.
      Il comma 2 dell'articolo 1 della presente proposta di legge equipara, ai fini specifici, il patteggiamento volontario della pena alla sentenza di condanna.
      Il comma 3 dichiara la nullità dell'eventuale elezione e disciplina le procedure di annullamento.
      Il comma 5, in particolare, equipara le cause di incandidabilità a quelle di incompatibilità con le cariche di governo.
      In tema di incompatibilità con le cariche di governo il comma 6 si fa carico, sotto altro e diverso profilo, di estendere la disciplina dell'incompatibilità al caso più rilevante di conflitto di interessi ossia quello del proprietario di imprese radiotelevisive di preminente rilievo nazionale.
      Si tratta di una misura necessaria, da più parti invocata, che in modo chiaro individua almeno la fattispecie più eclatante di conflitto con l'articolo 51 della Costituzione, sotto il profilo dell'accesso alle cariche pubbliche in condizioni di uguaglianza, e il caso più pericoloso, potenzialmente, di concentrazione di poteri nelle stesse mani.
      Ulteriore ed evidente situazione di incompatibilità con l'accesso a cariche di governo è determinata dalla specifica situazione del proprietario o azionista di maggioranza di un'impresa o società di primario livello nazionale in relazione ad un incarico di governo nel medesimo settore di attività (incompatibilità relativa). Tale fattispecie è disciplinata dal comma 7.
      Al comma 8 è infine affermato il principio generale secondo cui lo svolgimento dell'incarico di governo è temporaneamente incompatibile con l'esercizio di qualunque altra attività e lavoro, autonomo e dipendente, nonché con la partecipazione ad organi di gestione e amministrazione di società.
 

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